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Lettori fissi

mercoledì 14 luglio 2010

recensione l"uomo che amava dipingere su sololibri.it

L’arte, in ogni sua forma, è libertà, e non può un regime, di qualsiasi tipo esso sia e qualunque provvedimento, anche estremo, prenda contro di essa, ingabbiarla, limitarla, metterla a tacere. Si può imprigionare l’artista, torturarlo, perfino ucciderlo, e distruggere le sue opere, ma il suo pensiero e la sua anima vivranno per sempre in coloro che le hanno osservate, studiate, apprezzate, e che da esse trarranno ispirazione e coraggio per affrontare la loro vita in modo diverso, forse anche per lottare, per cambiare lo stato di cose. L’arte è libera, vaga, entra nei cuori e nelle anime. Questo, in sostanza, il bellissimo tema del breve libro in questione, neppure 60 pagine. Non è facilissimo da reperire, ma vale senz’altro la pena di procurarselo per poter apprezzare questo romanzo, che inserisce la situazione attuale di un Paese, l’Iran, purtroppo sempre sotto i riflettori dei media, e le riflessioni dei vari personaggi coinvolti, in una narrazione drammatica ma onirica, che nel finale prende piuttosto i contorni della favola moderna, lasciando aperta la porta alla speranza. La storia è quella di Yassir, giovane pittore iraniano, orfano di padre, che viene gettato in prigione per avere dipinto una donna nuda: per il regime non si tratta di arte, ma di pornografia. In cella Yassir conosce Omar, prigioniero ormai da tempo immemore per la sola "colpa" di essere omosessuale. Lo stupore per la crudeltà degli uomini e per i crimini che vengono perpetrati ogni giorno con la scusa della morale, della religione, della patria e della sua difesa, non dà pace a Yassir, uomo che non ha nemici e non giustifica in alcun modo la violenza, e a questo suo stato d’animo si mescola la comprensibile paura del suo destino ormai deciso senza possibilità di appello. Solo la pittura potrebbe dargli un conforto nell’angoscia dell’attesa, ma procurarsi tele e pennelli è quasi impossibile in una prigione come quella dov’è rinchiuso. Omar, però, partecipe dello stato d’animo e del dolore dell’amico, riesce a procurargli tre tele, i pennelli e i colori che gli servono. Per Yassir la possibilità di dare vita ai suoi pensieri e ai suoi sentimenti è una vera e propria rinascita. Dipinge così tre quadri, ciascuno dei quali è per la sua anima una fuga dalla cella e un incontro, uno scambio di idee con una persona amica o mai conosciuta, che, con le sue parole, può aiutarlo a capire. Il primo quadro è una conversazione con un amico immolatosi da kamikaze, malgrado l’incomprensione e la disapprovazione dello stesso Yassir. Il secondo incontro è con un soldato americano che ha scoperto che la guerra è ben diversa dalla propaganda patriottica. Il terzo è dedicato ad una dolce e battagliera ragazza iraniana che gli mostra le rivolte scoppiate dopo il suo arresto. Yassir, nel dipingere, esplora sentimenti e punti di vista, presunti torti e presunte ragioni, arrivando sempre e comunque a sottolineare l’assurdità della guerra e di ogni tipo di fanatismo. Ma sarà con la quarta tela, procuratagli a sorpresa da Omar, che Yassir potrà riconciliarsi con sé stesso e con la sua storia personale. Il finale è una delicata sorpresa che non lascia in sospeso alcuna domanda tranne, purtroppo, quella che ciascuno di noi si fa riguardo alla follia del genere umano. Lo stile, che appare inizialmente un tantino schematico e affrettato, si arricchisce nel corso del racconto di belle riflessioni e descrizioni, catturando il lettore e rendendolo partecipe della storia.

Cristina Giuntini

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